È successo di nuovo. Un altro salto quantico. Un altro balzo in avanti in quell’accelerazione esponenziale che ci fa sentire ora dei semidei, ora dei dinosauri. Google ha lanciato Veo3, il suo nuovo modello di intelligenza artificiale per la generazione di video. Ma questa volta non si tratta di video muti e goffi come i primi esperimenti: c’è l’audio, ci sono i dialoghi, c’è l’illusione piena di realtà. E la sensazione che il sipario sul cinema tradizionale sia calato con un sussurro.
Non è solo una questione tecnica – risoluzione, fotogrammi al secondo, sincronizzazione labiale. È una questione ontologica. Che cos’è un film, se non servono più attori, set, registi, fonici, montatori, distributori? Se bastano un prompt e una GPU ben rodata? E soprattutto: che cos’è il valore, in un mondo dove tutto può essere generato all’istante?
Lo scenario che si apre è vertiginoso. Immagina un futuro non troppo lontano dove le piattaforme di streaming sono obsolete, e ogni spettatore può generare il proprio film, su misura, in base all’umore della giornata. Ti va una romcom ambientata su Marte, con la tua ex e Brad Pitt come protagonisti? Pronta in un minuto. E se ti prende il trip per i noir anni ’40 ma con attori digitali che parlano in napoletano? Niente di più facile.
Da un lato, è un sogno: la democratizzazione assoluta della narrazione audiovisiva. I film che prima costavano milioni di dollari, girati con settimane di riprese e decine di professionalità coinvolte, ora possono essere “prodotti” da chiunque con un computer da mille euro e qualche ora di pazienza. Il cinema torna nelle mani delle persone, come una volta con le cineprese Super 8. Solo che stavolta il budget è irrilevante e gli effetti speciali non hanno limiti.
Dall’altro lato, però, aleggia un dubbio più sottile. Se tutto è generabile, se tutto può essere fatto... cosa vale davvero la pena fare? In un mondo dove ogni desiderio si realizza, il desiderio stesso si svuota. Il rischio non è solo la sovrabbondanza, ma l’insignificanza. Un’overdose di contenuti che non lasciano traccia, come onde che si infrangono su una spiaggia già bagnata.
E poi c’è la questione dell’autenticità. Continueremo a distinguere tra “film veri” e “film generati”? O quella linea si dissolverà, come la differenza tra carta e schermo, tra telefonata e messaggio vocale, tra umano e avatar? Forse nascerà un’estetica nuova, un canone alternativo, un neorealismo algoritmico che farà da contrappunto alle produzioni mainstream. O forse ci divideremo in tribù creative, ciascuna immersa nel proprio metaverso narrativo.
Il futuro che ci attende non è solo uno dove possiamo vedere tutto. È uno dove possiamo creare tutto. Ma anche uno dove dobbiamo decidere cosa vale ancora condividere. Dove la domanda non sarà più “come si fa un film?”, ma “perché lo sto facendo?”
Veo3 non è l’inizio della fine. È l’inizio di un nuovo inizio. E forse, alla fine di questa transizione, il vero valore sarà tornare a vedere qualcosa che non possiamo generare da soli. Un film imperfetto, fatto da persone vere, che non puoi cambiare con un click.
O forse no. Forse la nuova nostalgia sarà per le storie che non abbiamo mai scritto.
E il nuovo cinema sarà lo specchio in cui ognuno si racconta.
Vi allego un video che raccoglie alcune clip fatte con Veo3 dopo solo poche ore dal lancio
Metanerd è anche questo: una lente sul futuro, ma col filtro seppia delle emozioni umane. Non resta che restare svegli. E premere play.